La dispersione delle plastiche monouso nei mari e la nuova direttiva SUP

La dispersione delle plastiche monouso nei mari e la nuova direttiva SUP
3 Agosto 2021 Antonio Lucarella

Uno studio pubblicato su Nature Sustainability afferma che la plastica monouso è il rifiuto più frequente nei mari. Si tratta di oggetti di largo consumo e la nuova direttiva Sup (Single Use Plastic) potrebbe essere insufficiente a contrastare la plastica in mare.

La plastica in mare che soffoca gli oceani, ma da dove arriva?

Ogni anno nei nostri mari si riversano tonnellate di stoviglie usa e getta, bottiglie, imballaggi, giocattoli, reti da pesca e rifiuti provenienti dalle imbarcazioni da diporto e dalle attività costiere.

La plastica dispersa in mare è sicuramente collegata ad una gestione inefficiente dei rifiuti, che peggiora ulteriormente nel periodo estivo a causa dell’aumento dei flussi turistici e delle relative attività ricreative. Un’altra causa sono le attività marine: pesca e navigazione disperdono nasse, reti, cassette per il trasporto del pesce. Dopo la dispersione in mare, più della metà della plastica rimane in superficie per 1 anno e viaggia per circa 10 anni spinta da venti e correnti. Seppure la plastica che si deposita sui fondali marini è nove volte minore di quella che si accumula sulle coste, i fondali sono molto difficili da ripulire.

Attualmente si contano più di 150 milioni di tonnellate di plastica immesse in mare e la dispersione dei rifiuti negli oceani è una delle minacce ambientali più pericolose. Non a caso, negli ultimi anni si sono succedute diverse ricerche sulla distribuzione e sull’impatto dei rifiuti marini poiché la preoccupazione degli scienziati per il fenomeno si fa sempre più allarmante. Purtroppo, nonostante le informazioni siano abbondanti, finora la conoscenza necessaria per valutare l’origine dei rifiuti e guidare i piani d’azione è stata frammentaria e dispersa. Infatti, solitamente le informazioni esistenti si basano su metodi di campionamento e criteri di classificazione molto diversi, mentre il processo decisionale, sempre più urgente, richiede una visione globale del problema.

Per colmare la lacuna informativa e raccogliere i dati necessari all’analisi, un team di ricercatori di 15 istituzioni scientifiche di 10 Paesi ha integrato modelli regionali e armonizzato sistematicamente i dati sui rifiuti rinvenuti nei grandi ambienti marini a livello globale: più di 12 milioni di informazioni provenienti da 36 banche dati sono stati standardizzati grazie alla collaborazione con istituti di ricerca e ONG di 10 Paesi.

Il risultato è stato il nuovo studio “An inshore-offshore sorting system revealed from global classification of ocean litter”, pubblicato a giugno 2021 su Nature Sustainability, che fornisce la prima diagnosi globale dell’origine e della composizione dei rifiuti scaricati nell’oceano.

Lo studio sulla natura della plastica in mare 

Il nuovo studio sulla natura della plastica in mare, pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, fornisce dati sulla composizione dei rifiuti su scala globale. La plastica monouso originata dal consumo terrestre è di gran lunga l’elemento più frequente nei rifiuti marini su scala globale, costituendone l’80%.

Il metallo, vetro, abbigliamento e tessuti, gomma, carta e legno lavorato sono gli altri rifiuti nell’oceano identificati dallo studio, guidato dalla ricercatrice Carmen Morales-Caselles dell’Università di Cadice e finanziato dalla Fondazione Bbva e dal ministero della Scienza spagnolo.

Il 75% dei rifiuti è costituito solamente da 10 tipi di prodotti di plastica monouso poiché sono gli oggetti più diffusi e utilizzati, e la loro degradazione è estremamente lenta.

La spazzatura globale è costituita maggiormente dai rifiuti delle attività di consumo all’aperto, soprattutto quelli per cibi e bevande da asporto: sacchetti, bottiglie, contenitori per alimenti e involucri monouso sono i 4 prodotti più inquinanti e rappresentano quasi la metà di tutti gli oggetti trovati. Quello che di sorprendente emerge dalla ricerca non è che la plastica sia l’80% dei rifiuti, ma è l’alta percentuale di imballaggi da asporto.

Si conferma che la continua dispersione di plastica nella natura viene causata dalla produzione irresponsabile di articoli in plastica monouso, dal comportamento inappropriato degli utenti e dai problemi nei sistemi di recupero. E da qui si spiega l’ingresso, la persistenza e la presenza esagerata della plastica negli oceani: la percentuale più alta si trova nelle acque superficiali (95%), seguono le coste (83%), mentre i letti dei fiumi mostrano la percentuale di plastica più bassa (49%).

Se la quota maggiore è rappresentata dagli articoli per il consumo da asporto, il restante 20% dei rifiuti deriva dalle attività marittime come pesca e navigazione soprattutto corde, reti sintetiche e altre attrezzature. La proporzione aumenta nelle zone scarsamente abitate e diventa il rifiuto dominante nelle acque oceaniche aperte e alle alte latitudini.

Le soluzioni contro la plastica oceanica

Analisi globali come questa diventano indispensabili per individuare le azioni necessarie a gestire la produzione e l’utilizzo degli oggetti più inquinanti e forniscono informazioni utili alle politiche di prevenzione.

Infatti, invece di limitarsi a ripulire i mari, identificando le principali fonti della plastica oceanica si può evitare l’immissione nell’ambiente e il flusso di rifiuti marini.

L’Unione europea e il Regno Unito hanno già approvato leggi e piani d’azione come la direttiva SUP sulla plastica monouso, ma il rapporto fa notare che le restrizioni sono limitate a articoli monouso superflui o facilmente sostituibili. Carmen Morales-Caselles coordinatore dello studio lamenta che le politiche UE a riguardo rischiano talvolta di distogliere l’attenzione dal fulcro della questione degli imballaggi di plastica monouso.

Le restrizioni sull’uso di oggetti in plastica, come cannucce, cotton fioc e agitatori per bevanda (aste, cucchiaini lunghi, ecc.), anche se sono corrette, non affrontano il problema principale. Il modo migliore per affrontare l’inquinamento da plastica è limitare severamente gli imballaggi di plastica monouso. Solo evitare di produrre rifiuti è il modo più efficace per ridurre al minimo l’inquinamento: gli autori dello studio infatti indicano nel divieto di prodotti in plastica di consumo all’esterno la misura di gestione prioritaria.

Visto l’alto rischio di dispersione nell’ambiente di questo tipo di prodotti monouso, lo studio suggerisce l’adozione di due misure:

  • l’applicazione speciale della “responsabilità estesa del produttore” per i prodotti di consumo all’aperto ritenuti essenziali
  • una tassa di deposito rimborsabile al consumatore di prodotti da asporto giustificate dal rischio aggiuntivo di dispersione nell’ambiente di questo tipo di prodotti.

Inoltre, la sostituzione degli articoli in plastica con altri prodotti realizzati con materiali degradabili non sempre garantisce un approvvigionamento sostenibile delle materie prime. Perciò, si dovrebbero considerare gli impatti durante l’intero ciclo di vita del prodotto, compresa la sua produzione, trasporto e smaltimento.

Insomma come purtroppo ci spiegano i ricercatori, i prodotti alternativi che sostituiscono la plastica hanno spesso come unico effetto quello di sostituire la plastica con un‘altra tipologia di rifiuti dispersi in mare.

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